Tè verdi cinesi e tè verdi giapponesi: somiglianze e differenze

Quando si parla di tè in foglia, quasi tutti hanno un’idea di cosa sia il tè verde: tra tutti i colori del tè, è assieme al nero la tipologia più famosa e diffusa anche in occidente. Non tutti però sanno quanti possono essere i tè verdi e quanto differenti possono essere tra loro. Storicamente, il tè verde fu il primo tè ad essere prodotto: la Cina, culla di questa tradizione, ne vanta un gran numero, con foglie dalle forme diverse e sapori l’uno differente dall’altro. Un altro paese produttore di ottimi tè verdi, specializzato nella produzione di questa categoria, è il Giappone, dove se ne contano almeno una ventina.

Eh sì, perchè i tè verdi non sono tutti uguali: cultivar, terroir e metodi di lavorazione diversi danno origine a prodotti dalle caratteristiche organolettiche molto distinte. In questo articolo impareremo a conoscere i più importanti tè verdi cinesi e giapponesi, vedendo come i fattori menzionati poco sopra fanno emergere sapori così diversi.

Come si fa il tè verde

Partiamo innanzitutto dalle basi: quali sono gli step fondamentali di lavorazione di un tè verde? Eccoli qui per punti, ve li raccontiamo uno alla volta:

  • Raccolta
  • Appassimento
  • Blocco dell’ossidazione
  • Lavorazione delle foglie per dare loro la forma
  • Essiccazione

Come per tutti i tè, si parte con la raccolta delle foglie e delle eventuali gemme. Già qui notiamo una differenza sostanziale tra Cina e Giappone: nel primo caso, infatti, la raccolta è svolta prevalentemente a mano, mentre in Giappone la raccolta è quasi unicamente meccanizzata. Il motivo per cui le soleggiate distese di tè nel Kyushu appaiono così ordinate e precise è proprio questo: la raccolta viene effettuata con macchinari che passano letteralmente sopra alle piante, mietendo con precisione soltanto le foglie prescelte. Se i filari non fossero così precisamente regolati, le macchine finirebbero col tagliare la parte sbagliata, danneggiando la pianta e compromettendo il raccolto successivo.

In Giappone il tè cresce in filari ordinati per essere poi raccolto meccanicamente

Appena raccolte, le foglie di tè vengono lasciate appassire per un tempo piuttosto breve, che in genere non arriva alle 3 ore. L’appassimento può avvenire all’aperto naturalmente oppure al chiuso, con temperatura e umidità controllate. In questa fase, le foglie perdono una certa percentuale di umidità e acquistano una consistenza diversa che le renderà più facilmente malleabili per essere lavorate.

Come mai l’appassimento del tè verde ha una durata così breve? Perché si vuole evitare l’ossidazione, un processo che inizia naturalmente una volta che le foglie vengono staccate dalla pianta madre in seguito alla raccolta. Il tè verde è infatti l’unica tipologia di tè non ossidata: ciò significa che gli enzimi responsabili di questa reazione vanno disattivati immediatamente, per evitare l’inizio di questo processo che tingerebbe le foglie di marrone (come quelle di un tè nero o di un dark oolong) e ne modificherebbe completamente il gusto.

Il blocco dell’ossidazione si ottiene sottoponendo le foglie a un calore molto intenso e ciò può avvenire in due modi:

  • con il panning, ossia l’applicazione di calore a secco
  • con lo steaming, ossia l’applicazione di calore tramite vapore

Qui Cina e Giappone si distinguono nettamente: ma vediamo i due procedimenti nello specifico.


Panning: il metodo cinese

La parola panning (dall’inglese pan, ossia padella) indica una cottura delle foglie tramite applicazione di calore a secco: in Cina, è il metodo comunemente più usato. Quando questa operazione viene eseguita a mano, le foglie vengono schiacciate sui bordi e sul fondo del wok e continuamente fatte saltare, con temperature molto alte e movimenti delle mani rapidi e complicati, frutto di anni di esperienza. Lo stesso procedimento si esegue spesso anche con l’ausilio di appositi macchinari chiamati panning machines, simili a grandi tamburi rotanti che raggiungono temperature molto elevate e in cui vengono fatte passare le foglie di tè. 

Con questa sorta di tostatura, chiamata in cinese sha qing, letteralmente “uccisione del verde”, si punta anche a togliere alle foglie quel sapore erbaceo e vegetale che per il gusto cinese non è considerato elegante e raffinato.

Blocco dell’ossidazione in stile cinese: panning effettuato a mano in un wok bollente

Steaming: il metodo giapponese

La parola steaming (dall’inglese steam, ossia vapore) indica invece una cottura delle foglie tramite applicazione di vapore. I tè giapponesi seguono solitamente questo tipo di lavorazione, che lascia le foglie molto verdi ma tende a indebolirle nella struttura:  ecco perché spesso i tè giapponesi appaiono verdissimi ma più “sbriciolati”, e il liquore in tazza si presenta opaco. 

Ci sono tre differenti stili nella cottura a vapore (mushi) che variano in base alla durata, da pochi secondi a interi minuti:

  • Asamushi: cottura leggera
  • Chumushi: cottura media
  • Fukamushi: cottura prolungata

Come dicevamo, il vapore indebolisce la foglia, e questo porta i tè lavorati con una cottura più intensa (fukamushi) a sviluppare un liquore più verde e forte nel sapore, poiché le foglie sono più frantumate e infondono quindi molto più velocemente nell’acqua.

Quali sentori danno al tè questi due diversi tipi di procedura?

Il panning fa emergere nei tè cinesi soprattutto sentori tostati, che ricordano la frutta secca, come mandorle, noci e nocciole, e note dolci come quelle della castagna bollita. Scompare la nota più strettamemente vegetale e si hanno sfumature delicate che richiamano in alcuni casi anche sentori floreali.

Lo steaming fa emergere invece sentori più vegetali, intensi e marini: ritroviamo in particolare il gusto umami, quella piacevole sapidità che ricorda il dado da brodo ed è la nota caratteristica e più ricercata nei migliori tè verdi giapponesi.


Al blocco dell’ossidazione, segue nella lavorazione dei tè verdi la fase in cui si dà la forma desiderata alle foglie: anche in questo caso, Cina e Giappone differiscono.

La gamma di forme data alle foglie dei tè verdi cinesi è infinitamente varia: abbiamo tè le cui foglie vengono arrotolate e arricciate come lumachine (Bi Luo Chun), tè dalle foglie appiattite (Long Jing e Tai Ping Hou Kui), tè dalle foglie sottili e aghiformi (Anji Bai Cha) e addirittura tè dalle foglie incurvate e dalle estremità appiattite dette “a lingua di passero” (Que She)

Tè Early Spring Que She, detto “Lingua di Passero” per la forma particolare delle sue foglie.

I tè verdi giapponesi, invece, hanno meno varietà nella forma: possiamo riconoscere principalmente due tipi di forma, ossia quella appiattita per foglie larghe e spesse (come nel caso dei tè bancha), e quella aghiforme, dove tanto più sottile e finemente lavorata è la foglia, tanto più pregiato è il tè (pensiamo ai sencha e al prezioso gyokuro).

Con l’essiccazione, ultima fase del processo di lavorazione, le foglie perdono l’umidità residua e fissano gli aromi acquisiti sin qui, per essere poi pronti al confezionamento e al consumo. Questo ultimo passaggio viene effettuato solitamente tramite forni a temperatura e umidità controllate, oppure – più raramente – al sole, con le foglie disposte su grandi vassoi di bambù.

Ora che abbiamo visto come si produce in generale un tè verde, vediamo assieme quali sono i più famosi tè verdi cinesi e tè verdi giapponesi, con le loro caratteristiche di aromi e sapori.

Gli 8 tè verdi cinesi più celebri

Long Jing: “pozzo del drago”.
Questo tè verde, storicamente il preferito dell’imperatore Qianlong (1711-1799 d.C.) che lo elevò allo status di tè imperiale, deve il suo nome al villaggio di origine nella provincia dello Zhejiang. Ha foglie appiattite e note dolci che ricordano la frutta a guscio e la castagna bollita. Particolarmente pregiato è quello raccolto prima della festa di Qing Ming (primi giorni di aprile) nell’area di Xihu.

Anji Bai Cha: “tè bianco di Anji”.
Un nome che pare un trabocchetto, vero? Si tratta di un tè verde, ma da cultivar albina – da qui la denominazione “bai”, cioè “bianco”. Anji è l’area dove questo tè cresce, nella provincia dello Zhejiang. Le sue foglie sono tra il verde chiaro e il giallino, lunghe, sottili e croccanti, quasi aghiformi. Il sapore è delicato, con note floreali e un liquore chiarissimo in tazza, semi-trasparente. È un tè molto ricco di L-teanina, amminoacido che regala un sapore dolce e umami.

Anji Bai Cha, tè verde albino dalle delicate note floreali e umami

Tai Ping Hou Kui: “Re delle Scimmie Tai Ping”.
Nel villaggio di Tai Ping nella provincia di Anhui si produce questo tè caratteristico e pregiato, lavorato spesso a mano: per dare alle lunghissime foglie (arrivano talvolta a 15 cm!) la tipica forma schiacciata, queste vengono appiattite e pressate tra due reti metalliche che lasciano visibile sulla superficie la loro trama, per poi essere passate rapidamente sulla fiamma. Gli aromi e i sapori sono raffinati e delicati, con note di fiori e una freschezza di lunga persistenza.

Bi Luo Chun: “lumaca verde di primavera”.
Un nome che anticipa la forma: questo tè verde tipico dello Jiangsu ha infatti foglie lavorate come chioccioline, delicatamente arrotolate su se stesse. Per produrre questo tè si utilizzano una gemma e la prima foglia, tenere e ricoperte spesso di lanuggine bianca (bai hao). La gamma di sapori e di aromi richiama un sentore vegetale dolce e quasi burroso, delicato e con note floreali in chiusura.

Bi Luo Chun da alberi selvatici, con le foglie arricciate come chioccioline

Mao Feng: “punta di capelli”.
Anche in questo caso, il nome fa riferimento alla forma delle foglie, sottilissime e arrotolate a ricordare dei capelli. È un tè prodotto nell’Anhui e in particolare sul monte Huangshan, e alla sua origine si lega una triste leggenda. Si narra che una giovane raccoglitrice di tè si innamorò di un uomo del suo villaggio, ma il tiranno locale, geloso, la voleva soltanto per sé. Così la rapì e uccise il suo amato. Quando la fanciulla seppe della morte del suo innamorato e ne ritrovò il cadavere sulla montagna Huangshan, pianse così tanto che le sue lacrime, bagnandolo, trasformarono il corpo dell’uomo in un albero di tè. È un tè saporito, dalle note fruttate e tostate, dal corpo avvolgente e morbido e dal liquore color oro pallido.

Enshi Yulu: “rugiada di giada di Enshi”.
Questo tè verde cinese proveniente dalla contea di Enshi, nella provincia dello Hubei, è l’eccezione alla regola per quanto riguarda la sua lavorazione. Abbiamo visto nel paragrafo precedente come i tè verdi cinesi siano caratterizzati dalla cottura in wok o panning machines che applicano calore a secco: ebbene, il tè Enshi Yulu è lavorato a vapore proprio come i tè giapponesi. Si tratta dell’unico tè cinese con questa peculiarità, che si riflette nel gusto: note vegetali più spiccate, con sentori erbacei di rucola e un piacevole gusto dolce-salato, che chiude con una nota di castagna. Anche le sue piccole foglie, di colore verde scuro e aghiformi, ricordano alla vista un sencha giaponese.

Lu An Gua Pian: “semi di melone di Lu An”.
Un tè verde originario del villaggio di Lu An, nell’Anhui, che deve il suo nome alla forma data alle sue foglie in fase di lavorazione: ovali e appiattite, ricordano infatti un po’ dei semi di melone. È un tè caratterizzato da note incredibilmente floreali e sentori di frutta a guscio tostata e pralinata. Si tratta di uno dei tè verdi cinesi più pregiati, dal corpo setoso e morbido, davvero elegante.

Jasmine Pearls: “perle al gelsomino”
Non potevamo non citare il tè verde profumato per eccellenza prodotto prevalentemente a Fuding, nel Fujian, e che porta con sé le note inebrianti del fiore cinese simbolo d’amore. Il motivo del nome è la particolare forma appallottolata che viene data alle foglie, simili a piccole perle. Il tè verde viene profumato per contatto con boccioli di gelsomino, fino ad assorbirne l’aroma – un procedimento che può ripetersi fino a 7 volte, sostituendo ogni volta i fiori esausti con altri fiori freschi.

Jasmine Dragon Pearl, tè verde profumato ai fiori di gelsomino

Gli 8 tè verdi giapponesi più celebri

Sencha: letteralmente, “tè infuso”.
Il sencha è il primo raccolto, quello più fresco e aromatico. Ha foglie verde scuro brillante, aghiformi e dalla superficie lucida. Il gusto è marino, vegetale, dolce e umami, quella sapidità tipica dei tè verdi giapponesi simile nel sapore al dado da brodo. Ci sono moltissime cultivar in Giappone che producono sencha dalle note molto diverse tra loro, dai sencha più erbacei e fragranti, a quelli più dolci e burrosi fino a cultivar dalle note più floreali e delicate.

Bancha: “tè comune”.
Una parola dal significato abbastanza generico che indica i raccolti successivi al primo (quello con cui si fa il sencha). È un tè semplice, ma che può essere buonissimo e accompagnare ottimamente i pasti. Le sue foglie sono più spesse di quelle del sencha e appaiono ripiegate su se stesse e appiattite. Anche in questo caso, un tè dai sapori vegetali, morbido, con sentori erbacei e freschi.

Gyokuro: “rugiada di giada”.
Si tratta del tè giapponese più pregiato, come si intuisce dal suo nome e dalla bellezza delle foglie: aghiformi e sottilissime, lavorate spesso a mano, con una tinta tra il verde foresta e il blu e superficie brillante. In tazza il gyokuro sprigiona note fortemente dolci e umami, con un corpo che è un velluto sul palato: si tratta infatti di un tè ombreggiato per almeno 21 giorni prima della raccolta, procedimento che – privando le foglie della luce – fa sviluppare al tè molta clorofilla e amminoacidi che lo rendono verdissimo, molto dolce e saporito.

Hojicha: “tè tostato”.
Un tè verde dalle foglie già molto aromatiche a secco: il loro colore ha tonalità di bruno, marrone e castano ramato, sintomo del fatto che il processo di lavorazione ha avuto una fase extra rispetto agli altri tè verdi giapponesi: la tostatura. Il liquore è tra l’arancione e il marrone, con un gusto incredibilmente avvolgente e dolce, contraddistinto da note di nocciola e caffelatte. La tostatura, inoltre, fa evaporare quasi tutta la caffeina, rendendolo perfetto anche per i più sensibili a questa sostanza.

Genmaicha: “tè con riso integrale”.
Un tè goloso, composto da riso integrale tostato e soffiato e foglie di bancha (o sencha di qualità non altissima). Nasce come tè povero nel secondo dopoguerra, quando il costo delle foglie di tè verde era alto e la materia prima scarseggiava: i commercianti iniziarono a miscelare il tè al riso, per continuare a venderlo nonostante la grave crisi alimentare ed economica. Oggi il genmaicha è uno dei tè giapponesi più amati, con un gusto dolce e tostato che richiama l’amido del riso e coccola lo stomaco in qualunque momento della giornata.

Kamairicha: “tè arrostito in padella” (kama è la padella di ferro).
Eccola qua, l’eccezione giapponese alla classica cottura a vapore: il kamairicha è infatti un tè verde saltato in padella per bloccarne l’ossidazione come si farebbe per un tè verde cinese. Persino le sue foglie hanno una lavorazione atipica per un tè giapponese: invece di essere arrotolate sul proprio asse producendo la classica forma ad ago, le foglie del kamairicha vengono torte e arricciate. Le note di questo tè sono fresche e vegetali con sfumature tostate e di frutta secca che potrebbero ricordare un Mao Feng o un Long Jing.

Kukicha: “tè di rametti”.
Un tè povero di caffeina poiché costituito soltanto da rametti verdi di camellia sinensis: sono infatti solo le foglie, per difendersi dai morsi degli insetti, a essere ricche di caffeina. Un tè verde gentile, umami e per nulla astringente o amaro, che può essere bevuto in qualunque momento della giornata.

Matcha: per noi occidentali resta forse il più famoso di tutti i tè giapponesi.
Si tratta di un tè verde in polvere ottenuto dalla macinatura di foglie di camelia di alta qualità, come gyokuro e altri tè ombreggiati. A differenza di tutti gli altri tè, si prepara frullandolo energicamente in acqua a temperatura non troppo elevata (60°C-70°C) e creando una bella schiuma sulla superficie, detta schiuma di giada. È ricco di antiossidanti e di caffeina, ottimo per fare un pieno istantaneo di energia! Se si opta per un grado culinario e non cerimoniale, lo si può anche usare come colorante naturale per bevande e alimenti.

Se volete approfondire ulteriormente il vasto mondo dei tè giapponesi e conoscere altre particolarità legate alle produzioni di questo paese, abbiamo scritto un articolo tutto dedicato a loro che fa proprio al caso vostro.

L’importanza del terroir

Abbiamo visto come il mondo dei tè verdi sia vasto, specialmente quello di due giganti della produzione come Cina e Giappone. Oltre alla selezione di cultivar particolari e ai metodi di lavorazione, anche il terroir – esattamente come per il vino – gioca un ruolo fondamentale nella caratterizzazione di aromi e sapori.

Con il termine terroir si includono una moltitudine di fattori: altitudine e latitudine, clima, precipitazioni annuali, composizione chimica e biologica del terreno, flora e fauna che vivono in quell’area, persino la vicinanza di attività umane. Un tè verde che cresce su una fresca e nebbiosa collina cinese dell’Anhui non avrà le stesse caratteristiche organolettiche di un tè verde giapponese che si sviluppa su un terreno vulcanico, in una calda pianura del Kyushu e in prossimità del mare.

Tutto concorre a formare il “carattere” della pianta e a darle quelle sfumature di gusto uniche e irripetibili. La territorialità che si percepisce nel gusto di un tè racconta la sua storia e va al di là del metodo di lavorazione e della stessa genetica.


Tè verdi: esplorando un universo nell’universo

Se non vi siete scoraggiati dopo essere arrivati alla fine di questo articolo, ma come baldi esploratori del gusto siete più curiosi di prima, è giunto per voi il momento di saggiare tutte le sfumature di aromi e sapori viste sin qui!

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